Nel tour Marco negli Stadi 2025, la voce di Mengoni non canta soltanto: racconta, guarisce, unisce. I testi dei suoi monologhi – distribuiti tra prologo, parodo, episodi, stasimi, esodo e catarsi – non sono semplici intermezzi tra un brano e l’altro. Sono il cuore pulsante di uno spettacolo che trasforma un concerto in una vera e propria opera contemporanea.
- Che cosa dicono i monologhi di Mengoni nel tour 2025?
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I testi dei monologhi di Marco negli Stadi 25
- 1. PROLOGO – Il linguaggio come primo atto di resistenza
- 2. PARODO – Il disincanto del presente
- 3. MONOLOGO CENTRALE – La fragilità come atto di verità
- 4. ESODO – L’accettazione
- 5. CATARSI – La liberazione finale
- Marco negli Stadi 25: un’opera pop moderna (e coraggiosa)
- Perché questi testi parlano anche di noi?
Che cosa dicono i monologhi di Mengoni nel tour 2025?
Il Prologo si apre con una riflessione sull’origine del linguaggio e sul bisogno umano di dare un nome alle emozioni per poterle affrontare. Rabbia, gioia, vergogna, rimorso: Marco le nomina una ad una, quasi a renderle visibili. “La vita è l’insieme delle esperienze che siamo portati ad affrontare,” recita la sua voce, invitando il pubblico a riconoscersi tra le rovine emotive da cui tutto ha origine.
Con il Parodo, Mengoni attacca il cuore di una società egoista, incapace di empatia, che ha smarrito il senso collettivo. Qui le sue parole diventano sferzanti, dirette, quasi un’accusa: “Con che coraggio ci lamentiamo di chi ci governa se non andiamo a votare, non manifestiamo, non ci facciamo sentire?”. È un invito a svegliarsi, a ritrovare la voce.
Negli Episodi e Stasimi, Marco abbandona il giudizio e torna all’intimo. Il dolore, i demoni interiori, la fragilità. È qui che emerge la sua confessione più autentica: “La musica è il mio modo”. Quella frase, nuda e potente, è la chiave per comprendere tutto il tour: un mezzo per condividere ciò che è stato, per trovare un senso anche quando il senso sembra mancare.
Il Monologo centrale è un vertice emotivo. Un flusso di coscienza che mescola memoria e perdita, fatica e amore, cadute e rinascite. “Torno spesso in cima a quella montagna. L’ultimo luogo in cui sono stato felice. Aspettando di risentire addosso quel sereno.” È una poesia recitata a cuore aperto, un abbraccio a chiunque abbia mai vissuto una frattura.
Nell’Esodo, l’artista abbandona la malinconia e guarda avanti. Siamo sopravvissuti al crollo. Sopravvivere significa vivere sopra. È tempo di ricostruire: eliminare i muri, affrontare la paura, scegliere di vivere.
E infine arriva la Catarsi, la purificazione. Un momento senza parole, perché ormai il messaggio è stato consegnato: ci si salva solo insieme, camminando consapevoli tra le macerie del passato.
I testi dei monologhi di Marco negli Stadi 25
I monologhi di Marco Mengoni nel tour 2025 sono un’esperienza poetica, teatrale, umana. Un manifesto esistenziale che intreccia il personale con il collettivo, la fragilità con la potenza, il crollo con la rinascita. Sono la prova che la musica non si ascolta soltanto: si vive, si attraversa, si condivide.
1. PROLOGO – Il linguaggio come primo atto di resistenza
PROLOGO: PRIMA DI TUTTO
da che il mondo è il mondo gli esseri umani
provano a comprendere ciò che li circonda:
dare un nome alle cose significa riconoscerle
Se qualcosa esiste una parola è stata creata per raccontarla
Il linguaggio è il tentativo di dare voce ai pensieri e forma alle emozioni:
rabbia/gioia/paura/sorpresa/tristezza/disprezzo/ansia
/invidia/offesa/perdono/vergogna/gratitudine/rimorso/orgoglio/
La vita è l’insieme delle esperienze che siamo portati ad affrontare:
dalla gioia incontenibile al dolore insostenibile.
A chiunque capiterà di attraversare le macerie,
ciò che resta dopo un crollo, reale o emotivo,
sapere che qualcuno ha già compiuto questo percorso
ed è riuscito ad andare oltre
può essere puro conforto.
Si chiama condividere: dividere con…
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arriva il momento in cui è necessario fermarsi,
levarsi di dosso tutto ciò che potrebbe nasconderci,
dagli altri e da noi stessi
Ci sono traumi che possono causare il crollo di un’esistenza,
così come ci sono eventi che distruggono l’equilibrio dell’intera umanità.
Sta a noi provare a comprendere,
imparare dagli errori,
mettere a frutto le esperienze,
farne tesoro.
“Dare un nome alle cose significa riconoscerle.”
“Il linguaggio è il tentativo di dare voce ai pensieri e forma alle emozioni.”
Il Prologo è un atto di nascita. Marco parte dall’essenziale: la parola. Solo nominando le emozioni – anche quelle più scomode come vergogna, ansia, invidia – possiamo iniziare a comprenderle. È un invito a guardarci dentro, con lucidità ma senza paura.
“A chiunque capiterà di attraversare le macerie…”
“Sapere che qualcuno ce l’ha fatta può essere puro conforto.”
Questa è l’idea che sorregge l’intero spettacolo: condividere il dolore per renderlo affrontabile, spezzare la solitudine emotiva. Il pubblico viene subito coinvolto: siamo tutti parte di questa storia.
2. PARODO – Il disincanto del presente
PARODO: IL PRIMO CANTO
L’egoismo ha distrutto la nostra idea di società:
pensare l’altro come nemico
fa crescere la diffidenza e la paura.
(così)
abbiamo dimenticato il senso comune
(ma poi)
siamo molto più bravi a tacere che ad alzare la voce
(intanto)
dormiamo sonni tranquilli perché possiamo
(finché)
qualcuno deciderà che i nemici saremo diventati noi
(allora)
solo allora capiremo che da soli non possiamo salvarci.
Pensiamo davvero che non sia mai colpa nostra
Che la responsabilità sia solo degli altri?
Voci:
ma sì buttalo via, che ti frega? // Dai, supera quel deficiente…
Guarda come è conciato quello! Menomale che non è capitato a noi!
Con che coraggio ci lamentiamo di chi ci governa
se non andiamo a votare, non manifestiamo, non ci facciamo sentire?
Pensiamo che le nostre azioni non abbiano conseguenze,
ma non è troppo comodo?
____
Che cosa può smuovere le nostre coscienze,
se lasciamo morire gli innocenti
senza dire una parola?
Se accettiamo uno sterminio, perché, in fondo, non ci riguarda.
È il nostro silenzio che lo sta permettendo.
“L’egoismo ha distrutto la nostra idea di società.”
“Pensiamo davvero che non sia mai colpa nostra?”
Qui Mengoni tocca corde più dure, quasi politiche. Il monologo diventa una critica sociale lucida e profonda. È la voce di chi non vuole più essere spettatore passivo.
“Se accettiamo uno sterminio, perché in fondo non ci riguarda…”
“…è il nostro silenzio che lo sta permettendo.”
Marco chiede al pubblico di prendere posizione, di non restare in silenzio davanti all’ingiustizia. È un momento di rottura emotiva fortissimo, rafforzato da immagini visive sul palco e dalla presenza fisica dei performer.
3. MONOLOGO CENTRALE – La fragilità come atto di verità
MONOLOGO: PENSIERI AD ALTA VOCE
Abbiamo scalato insieme la montagna più alta del mondo,
senza voltarci indietro mai,
scansando le valanghe,
sopportando i temporali,
resistendo a qualsiasi ostacolo ci si ponesse davanti,
guardandoci, baciandoci, sorridendoci,
piangere era vietato:
qualche volta lo facevo di nascosto
e qualche volta lo facevi di nascosto anche tu.
Ci siamo arrivati in cima alla montagna, solo allora abbiamo guardato giù. Ed era così bello il sereno.
Siamo inciampati, cadendo rovinosamente su un sentiero fatto mille altre volte, che ci sembrava cosa da niente.
Pensavo che la paura fosse il sentimento più penoso con cui convivere,
mi sono riscoperto nostalgico di quel sentire.
L’abisso era diventato un luogo come un altro in cui trascorrere le mie giornate perché non importava dove, non passava il tempo.
Non capivo più il senso, e forse non lo capirò mai.
Ho tirato fuori la testa dall’acqua, da un’apnea crudele.
Chiuso nella camera iperbarica dei miei pensieri.
Zoppicando, avanzando con passo incerto, affatto sicuro di farcela.
La vita è più forte di qualsiasi atrocità possa capitare,
lo è quando non pensi che lo sia,
lo è perché pensi che non lo sia.
Torno spesso in cima a quella montagna.
L’ultimo luogo in cui sono stato felice.
Aspettando di risentire addosso quel sereno.
“Abbiamo scalato insieme la montagna più alta del mondo…”
“Piangere era vietato, ma qualche volta lo facevo di nascosto.”
Qui Mengoni entra nella sua parte più intima e vulnerabile. Racconta una caduta: quella emotiva, quella fisica, quella esistenziale. Il pubblico è muto, rapito. È il punto più alto e più fragile dello spettacolo.
“Pensavo che la paura fosse il sentimento più penoso… mi sono riscoperto nostalgico di quel sentire.”
“L’abisso era diventato un luogo come un altro in cui trascorrere le mie giornate.”
Parole che raccontano la depressione, l’immobilismo, il dolore che toglie il senso. Eppure, anche qui, c’è la luce:
“Zoppicando, avanzando con passo incerto… la vita è più forte di qualsiasi atrocità.”
Una rinascita lenta, imperfetta, ma possibile. E Marco, che in cima a quella montagna ci è tornato spesso, ora prova a portarci con sé.
4. ESODO – L’accettazione
ESODO: LA CONCLUSIONE
Siamo sopravvissuti al crollo.
Sopravvivere significa vivere sopra.
Farcela nonostante tutto.
Adesso possiamo solo ripartire per stare meglio e ricominciare a vivere.
Succede a ciascuno personalmente e a tutti collettivamente.
Bisogna trovare il coraggio di andare oltre:
eliminare i muri costruiti per dividere
non accettare i soprusi.
Provare a fare sempre e comunque qualcosa o almeno la differenza.
Camminiamo sopra le macerie
consapevoli di cosa rappresentano:
il passato da cui ripartire ogni volta.
Siamo edifici di vetro
complessi, consapevoli, ma anche fragili.
Da che il mondo è il mondo funziona così:
ci costruiamo, ci distruggiamo, ci ricostruiamo
sperando di essere ogni volta più forti.
In equilibrio, senza certezze, apparentemente perfetti.
Di fatto imperfetti.
“Siamo sopravvissuti al crollo. Sopravvivere significa vivere sopra.”
“Adesso possiamo solo ripartire.”
Il momento della ripartenza. Lo show ci ha condotto nel dolore, ora ci invita a guardare avanti. È una sorta di patto che Mengoni fa con il pubblico: se ci siamo caduti insieme, possiamo anche rialzarci insieme.
“Camminiamo sopra le macerie consapevoli di cosa rappresentano: il passato da cui ripartire.”
Non si tratta di dimenticare, ma di integrare il dolore nel nostro percorso. L’equilibrio è precario, ma reale. La perfezione è un’illusione: la nostra forza sta nella consapevolezza delle imperfezioni.
5. CATARSI – La liberazione finale
In scena, la parola cede il passo alla musica e alla luce. La catarsi è emozionale, non verbale. Non serve spiegare. L’arte ha fatto il suo corso: ci ha mostrato il dolore, ci ha offerto la possibilità di attraversarlo. Ora ci lascia liberi, più leggeri, forse un po’ più forti.
Marco negli Stadi 25: un’opera pop moderna (e coraggiosa)
Marco negli Stadi 2025, prodotto da Live Nation, è un tour audace che fonde pop e grande tradizione teatrale. Ogni tappa è un capitolo della stessa storia, ogni canzone un tassello di un racconto più grande. La regia, la scenografia, i costumi, la scaletta: tutto è pensato da Mengoni, che ha diretto l’intero show come un autore di teatro del nuovo millennio.
Con oltre mezzo milione di biglietti venduti e numerose date già sold out (Napoli, Roma, Torino, Bologna, Milano, Bari, Messina), il tour celebra i 15 anni di carriera dell’artista, ma anche la possibilità di un nuovo inizio collettivo.
Perché questi testi parlano anche di noi?
I monologhi di Mengoni non sono solo suoi. Sono la voce di chi ha vissuto un dolore, di chi cerca risposte, di chi crede ancora nel potere della condivisione. Perché – come recita il prologo – sapere che qualcuno ha già attraversato le macerie e ce l’ha fatta, può essere puro conforto.
E oggi più che mai, quel conforto è un atto rivoluzionario.